Semiramide in Ascalona, Vienna, van Ghelen, 1725

 ATTO PRIMO
 
 Campagna di Ascalona con colline deliziose in lontano.
 
 SCENA PRIMA
 
 NINO, BELESA, SIMMANDIO, seguito di assiri con Nino, di pastori e di ninfe con Simmandio
 
 NINO
 A le venture età sia questo giorno
 memorabile e sacro, in cui l’illustre
 Semiramide, onor di queste piagge,
 n’è resa e dier la pena
5i rapitori, entro quell’acque estinti,
 ove tentar l’eccesso.
 BELESA
 Suo valor poté tanto?
 SIMMANDIO
 Ma non già solo. Aliso,
 che in Ascalona ha ’l vanto
10del più nobil pastor, le fu in soccorso.
 NINO
 Premio ne attenda al beneficio eguale.
 SIMMANDIO
 Ma, signor, troppo onori
 la figlia di Simmandio.
 NINO
                                             Un re, che i pregi
 conosce, ond’ella è adorna,
15correggerà le ingiurie di fortuna.
 Nel mio cor ne maturo
 l’alto destin. Simmandio, se ’l ritardo,
 un rimorso nol fa di tua bassezza
 ma un senso di onestà, da le cui leggi
20assolver non mi può la mia grandezza.
 SIMMANDIO
 Al gran Nino ubbidir fia legge e gloria
 del padre e de la figlia.
 NINO
                                            Ite, o pastori,
 ite e voi, ninfe, incontro a lei che riede;
 e di rose e d’allori
25chi le sparga la via, chi il crin le infiori.
 NINO, BELESA e SIMMANDIO
 
    Senza la ninfa amabile,
 poc’anzi afflitti e squallidi
 languiano i nostri prati,
 gemeano i nostri cori.
 
 CORO DI NINFE E PASTORI
 
30   Senza la ninfa amabile,
 poc’anzi afflitti e squallidi
 languiano i nostri prati,
 gemeano i nostri cori.
 
 NINO, BELESA e SIMMANDIO
 
    Ma come suol tropp’arido
35fresche rugiade avvivano,
 ella ne vien beati
 a render paschi e amori.
 
 CORO DI NINFE E PASTORI
 
    Ma come suol tropp’arido
 fresche rugiade avvivano,
40ella ne vien beati
 a render paschi e amori. (Parte Simmandio verso il colle, seguito dal coro delle ninfe e dei pastori)
 
 SCENA II
 
 NINO e BELESA
 
 BELESA
 Qual rimorso, o signor, frammette indugi
 a quel ben che sospiri?
 Semiramide è tua.
 NINO
                                     Ma sciorre a forza
45deggio un nodo giurato. Amore e fede
 a Mennone la unisce; e di sue nozze
 arderien già le faci,
 se l’invitto guerrier, cui tanta parte
 deggio de l’Asia soggiogata e vinta,
50non tenesser fra l’armi i Battri infidi.
 BELESA
 Mennone ama la gloria,
 ama il suo re, più che Semira. Al solo
 saperti suo rivale, o col rispetto
 spaventerà le brame o col consiglio
55de l’util suo consolerà l’amore.
 NINO
 Mal conosci, o Belesa, il cor feroce.
 Un valor che mi serve, alorch’io l’amo,
 divenir può furor, quand’io l’irriti.
 BELESA
 Nino può risarcirlo...
 NINO
60Eh! Nel vasto mio impero io non ho un bene
 che equivaglia a Semira.
 BELESA
 No, per Mennone amante;
 ma in quell’anima altera
 fasto può più che amor. Cambiar di oggetto
65gli fu facile amando.
 Sol disio di grandezze in lui più crebbe
 a misura che ottenne; e fuor di Nino,
 mai non seppe soffrir maggior né uguale.
 NINO
 Né l’avrà nel mio regno,
70qual non l’ha nel mio cor. Convien ch’io peni,
 per non far ch’ei sospiri.
 BELESA
                                               E fortunato
 a costo il renderai del tuo riposo?
 NINO
 Oh dio! Non so. Crudel germana, in questo
 pelago tu m’hai spinto. O non dovevi
75farmi veder Semira o non celarmi
 gli affetti de l’amico.
 M’era facile alora a le nascenti
 fiamme oppor resistenza. Or son sì fiacco
 che, ingiusto o sfortunato, io perder deggio
80o Mennone o Semira o ancor me stesso.
 BELESA
 Chi misero esser vuol, di sé si dolga.
 NINO
 Consiglio è di virtù la mia sciagura.
 BELESA
 Si assolva il re da una virtù servile.
 NINO
 Degli uomini è ’l più vile
85re che è senza virtù.
 BELESA
                                       L’abbia; ma quella
 che, protetta da l’uso, util si appella.
 NINO
 
    Dirò al cor con qualche pace:
 «In amor sii sfortunato».
 Ma «sii perfido ed ingrato»
90dirgli mai non soffrirò.
 
    Se il poter del cielo è dono,
 non vo’ usarlo in tirannia.
 Darò leggi a me dal trono,
 poi agli altri io le imporrò.
 
 SCENA III
 
 BELESA e poi ARBACE
 
 BELESA
95Non dispero ch’ei ceda. Ove una volta
 alza il vessillo amore, a poco a poco
 ei ne caccia ragion, virtù, amistade;
 e vuol solo regnar. Mennone infido,
 t’ho suscitato un tal rival che tutto
100ne tremerai.
 ARBACE
                          Mia principessa.
 BELESA
                                                           Arbace,
 vuoi ch’io creda al tuo amor? Vuoi meritarmi?
 ARBACE
 Che far deggio?
 BELESA
                                Ubbidirmi, vendicarmi;
 e Mennone sleal ne sia l’oggetto.
 ARBACE
 Cosa agevol mi chiedi. Un grave eccesso
105de la grazia real già ’l rende indegno.
 BELESA
 Con Belesa egli è reo.
 ARBACE
                                          Con Nino ancora.
 Non sì tosto egli udì che un pien trionfo
 Semiramide avea sul cor di Nino,
 ch’ebbro di gelosia, nulla curando
110gloria, impegno, dover, partì notturno
 dal campo, ove mi è ignoto ed a qual fine.
 BELESA
 (Che sì, che la rapita
 Semira è colpa sua!) Certo è l’avviso?
 ARBACE
 Giunto qui or or dal campo, ove le veci
115di Mennone sostiene il re mio padre.
 BELESA
 Strane cose recasti. A noi conviene
 farne buon uso. Al re tu vanne. Aggrava
 di Mennone il delitto.
 ARBACE
 Ma, se chiederlo lice, onde tant’ire?
 BELESA
120Da la sua infedeltade.
 ARBACE
 Tu fiera il ributtasti.
 BELESA
                                        Il grado, il sesso
 da me quelle esiggea prime ripulse.
 ARBACE
 Un soverchio rigor stanca gli affetti.
 BELESA
 Oh! Mal per noi, se l’arte ne mancasse
125di ceder con decoro.
 ARBACE
 Non tutti han per soffrire il cor di Arbace.
 BELESA
 Preda, già mia, non vo’ che fugga impune.
 Mennone il proverà. Già di un re amico
 gli ho fatto un fier rival. Sposa di Nino
130saria Semira. Un fiacco
 rimorso il frena e questo
 vincer si deve. Il più fec’io. Del duce
 tu esaggera la colpa; e alcun non resti
 luogo a favor di lui nel regio core.
 ARBACE
135Ah! Principessa, io servirò al tuo sdegno;
 ma tradirò me stesso.
 BELESA
 Intendo il tuo timor. Ne l’incostante
 tu temi il primo amante.
 ARBACE
 Or pentito a’ tuoi piedi il vuol tua gloria.
 BELESA
140Ma per punirlo sol, non per amarlo.
 ARBACE
 Punisci con l’obblio l’alma infedele.
 BELESA
 L’indifferenza in me saria viltade.
 ARBACE
 Spesso di affetto anche lo sdegno è prova.
 BELESA
 Orsù, Arbace, un ossequio,
145che men ragioni, esiggo. In altri io posso
 trovarlo, a te lo chieggo e la mia scelta
 non ti è picciol favor. Vanne; opra; e spera.
 Sia di Nino Semira, a me pentito
 torni il perfido amante; e la vendetta
150alor vedrai d’una beltà negletta.
 
    T’inganna il tuo timor,
 se credi che in mirar
 pentito il traditor
 un foco in me già spento
155forza ripiglierà.
 
    La facile bontà
 invita il pentimento
 di un perfido amator
 a nuova infedeltà.
 
 SCENA IV
 
 ARBACE
 
 ARBACE
160Ah! Che in mezzo a quell’ire
 veggo ancora il suo amor. Non fa tal senso
 la perdita di un ben che non si curi.
 Cor mio, che si può far? Ti vuole il fato
 amante di beltà superba e fiera.
165Soffri, io ti dico. Ella ti disse spera.
 
    Che si può far?
 Conviene o non amar
 o amar con tolleranza,
 sperando di goder.
 
170   Ristoro è de le pene,
 vigor de la costanza
 la spene del piacer. (Preceduta dal suono di pastorali strumenti e da lunga schiera di pastori e di ninfe, che tutti portano in mano rami di allori intrecciati di rose, con ghirlande di fiori in capo, a foggia di pastorale trionfo, vedesi scender dal monte Semiramide, accompagnata da Aliso e da Simmandio)
 
 SCENA V
 
 SEMIRAMIDE, ALISO, SIMMANDIO con seguito di pastori e di ninfe
 
 SEMIRAMIDE
 
    Quel guerrier che al campo riede,
 quel nocchier che il porto afferra,
175dopo l’armi e le tempeste,
 ha ragion, se n’è contento.
 
    Chi giammai di cure infeste
 non provò l’acuto morso
 poco intende e poco crede
180tutto il ben di un godimento.
 
 Eravate già belle,
 già care a gli occhi miei, voi piagge apriche,
 e tu, diletto padre,
 e voi, compagne amiche.
185Ma da insidia e furor messa in periglio
 di non più rivedervi,
 quanto più vaghe or siete!
 Quanto più mi piacete!
 SIMMANDIO
                                             A me la sorte,
 figlia, de’ primi amplessi.
 SEMIRAMIDE
190Signore, io non sarei fra le tue braccia
 senza il valor di Aliso.
 ALISO
 lo ’l tuo esempio seguii. Di quegli audaci,
 chi al tuo dardo fuggì nel mio cadette;
 e son anche opra tua le mie vittorie.
 SIMMANDIO
195Deh! Qual darò mercede al tuo valore!
 ALISO
 Quella, o Simmandio, che tu puoi, non curo;
 e quella, che vorrei, tu non potresti.
 Basta al fedele Aliso
 di aver posta per te, bella Semira,
200quella vita in cimento
 che da’ primi anni suoi ti offerse in voto;
 e se un giorno dirai che de’ tuoi primi
 pudichi affetti egli non era indegno,
 tutto il premio otterrà dal tuo bel core
205chi per la tua grandezza
 svenata ha la speranza e non l’amore.
 SEMIRAMIDE
 Aliso, in verun tempo
 obblio non coprirà le chiare fiamme
 che primo in me accendesti.
210Saresti mio; ma il fato
 si oppose. Ov’ei ne trae, seguirlo è forza.
 Ei sol far non potrà che a la tua fede,
 potendolo, io non dia lode e mercede.
 ALISO
 
    Posso perderti e vo’ amarti.
215Se per me non è la sorte,
 sia la fede almen per me.
 
    Virtù avea per meritarti;
 volea amor che fossi mia;
 ma ’l destin mi tolse a te.
 
 SCENA VI
 
 SIMMANDIO e SEMIRAMIDE
 
 SIMMANDIO
220Figlia, lasciai sinor gli affetti tuoi
 in piena libertà. Leggi a te stessa
 dava l’indole eccelsa e generosa.
 SEMIRAMIDE
 De’ tuoi saggi consigli il frutto e l’opra.
 SIMMANDIO
 Ma tu vedi d’intorno
225cingerti insidie e mali.
 Mal sicura è beltà fra molti amanti.
 Eccone in prova il corso rischio. È tempo
 che tu risolva. L’util tuo dipende
 da la tua scelta. Il tuo gran cor richiami
230sé stesso, si consigli, elegga ed ami.
 SEMIRAMIDE
 Padre, che nata io sia, che pur nol credo,
 tra boschi e in umil cuna, è caso; e mio
 rossor non è ciò che non è mia colpa.
 Ma dal basso mio stato
235non presero mai norma i miei pensieri.
 Cosa non fu giammai così sublime
 che spaventasse i miei desiri. Amai
 a misura del merto; e se un affetto
 diede luogo al secondo e questo ad altri,
240non fu difetto di volubil genio
 ma impulso e forza di più degno oggetto.
 SIMMANDIO
 Festi ciò che nocchier, cui gire è forza
 fuor del preso cammin, dove lo spigne
 più impetuoso or questo vento, or quello.
 SEMIRAMIDE
245Quando Aliso ebbe i primi
 miei fanciulleschi affetti,
 non era in Ascalona
 né il più nobil pastor né il più gentile.
 Venne Mennone, il duce, e la sua gloria
250sorprese i voti miei. Vidi poi Nino;
 e ’l sospirar di un re fece al mio udito
 più soave armonia. Se dopo Nino
 scendesse in terra a idolatrarmi un nume,
 il nume piaceria più del regnante.
 SIMMANDIO
255Dunque ora Nino è ’l più gradito amante.
 SEMIRAMIDE
 Ma non il più felice.
 Mennone ha la mia fede, a lui giurata
 con l’assenso paterno. Ecco la gemma,
 con cui ne segnò i patti.
 SIMMANDIO
260L’amor di un re scioglie ogni patto e legge.
 SEMIRAMIDE
 Legge d’onore è indissolubil nodo.
 SIMMANDIO
 Mennone ha offeso il re.
 SEMIRAMIDE
                                               Ma non Semira.
 SIMMANDIO
 L’abbandono del campo è suo delitto.
 SEMIRAMIDE
 Il vassallo peccò ma non l’amante.
 SIMMANDIO
265Forse osò il suo furor ciò che soffristi.
 SEMIRAMIDE
 Dono a timor geloso il suo trascorso.
 SIMMANDIO
 Seco, o figlia, trarrai miseri giorni.
 SEMIRAMIDE
 Mi saria più miseria onta e rimorso.
 SIMMANDIO
 Fiero, geloso, indomito, crudele...
 SEMIRAMIDE
270D’un marito i difetti
 saggia moglie sopporta e li corregge.
 SIMMANDIO
 Dunque de l’Asia tu rinunzi al trono?
 SEMIRAMIDE
 Ei piaceria; ma quando debba a prezzo
 di mia fede salirvi, il trono io sprezzo.
 
275   Sinché sarà il mio fato
 discorde dal mio core,
 vedrai che cerchio aurato
 al crin non cingerò.
 
    Mi gradirebbe un soglio;
280ma più mi strigne onore;
 e mai per cieco orgoglio
 la fé non tradirò.
 
 SCENA VII
 
 SIMMANDIO
 
 SIMMANDIO
 Virtude o troppo austera
 che ripugni a grandezza!
285Grandezza o troppo altera
 che distruggi virtù. Ti lodo, o figlia,
 ma ti compiango ancor. Da’ tuoi natali
 destinata a regnar, perdi il diadema.
 Or viene i danni tuoi
290a riparar fortuna; e tu nol vuoi.
 
    Il bel volto e la grand’alma
 v’innamori, amiche stelle.
 
    Se nol fate,
 a virtute ed a beltate
295siete perfide e rubelle.
 
 Ballo di pastori, che escono dal piano, e di montanari che scendono dal colle.
 
 Fine dell’atto primo